Il parco di Miramare, a Trieste - by Dodi

Salve, ecco la seconda parte del Castello di Miramare di Trieste, riguardante il suo parco. Se volete rinfrescarvi la memoria circa le origini di questa bellezza, vi riporto il link http://furigheddagardening.blogspot.com/2012/01/miramare-di-trieste-ovvero-una-nuova-e.html
Dopo aver raccontato qualcosa della storia del suo creatore – Massimiliano d’Asburgo – vorrei parlarvi ora del parco che circonda il castello. D’altra parte era importante conoscere un po’ Massimiliano, perchè non fu un proprietario che commissionò ad altri il parco, limitandosi a goderlo, ma fu sua l’ideazione, le scelte di come strutturarlo e di che cosa impiantare. Addirittura portò personalmente dai suoi viaggi intorno al mondo alcune essenze e piantò gli alberi con le proprie mani. Anche quando andò in Messico continuò a occuparsi del parco, mandando precise istruzioni, semi e piante al suo giardiniere - Anton Jelinek - che a sua volta gli scriveva rapporti dettagliati. Ma andiamo un po’ in giro a conoscerlo.

Il parco si presenta come un’ampia collina verde che contrasta adesso con la spoglia vegetazione circostante. Ciò grazie ad un ampio uso di sempreverdi che assicurano fresca ombra in estate e verde anche d’inverno.

Il parco è strutturato grosso modo in tre zone. La parte verso il mare è dominata dalle piante tipiche della macchia mediterranea: leccio (quercus ilex), alloro (laurus nobilis), pino d'Aleppo, cipresso, viburnus tinus, corbezzolo (arbutus unedo), terebinto (pistacia terebintus), fillirea, specie che sembrano del tutto spontanee e fanno pensare che siano l’originaria vegetazione della zona.
In realtà anche questa è una creazione di Massimiliano. Lui si era trovato davanti un promontorio roccioso, dove cresceva qualche stentato alberello, non molto diverso da questo che ho fotografato nelle vicinanze.
La sua idea era di creare un parco ‘naturale’ all’inglese, con corsi d’acqua e laghetti (necessariamente artificiali perchè la roccia carsica è priva di corsi d’acqua), sentieri tortuosi e rocce affioranti. Per fare questo però dovettero essere rimosse tonnellate e tonellate di pietre, fatte saltare con la dinamite. Al loro posto vennero messe vagonate di terra, fatta arrivare con la ferrovia dall’Austria (all’interno del parco c’è anche una stazione ferroviaria. Era da lì che Massimiliano e Carlotta potevano raggiungere Vienna).
L’intenzione di Massimiliano era di creare un giardino mediterraneo; per questo aveva fatto acquistare nei vivai del Veneto e dell’impero migliaia piante da mettere a dimora a Miramare; inoltre aveva fatto piantare anche aranci e limoni.
Purtroppo, nonostante l’affaccio sul mare, il clima – soprattutto d’inverno - non si dimostrò favorevole. Così scriveva il giardiniere nel febbraio 1860: “La bora continua ad infuriare quasi ininterrottamente, rendendo indispensabile un continuo annaffiamento dei vegetali piantati all’aperto. Il persistente gelicidio ha danneggiato molte piante e soprattutto gli aranci: l’acqua di mare sospinta contro di essi dalla bora li spoglia delle fronde ed i germogli terminali sono gelati”. Sembra di leggere quello che è accaduto qualche settimana fa!




Foto 3 e 4 Corbezzolo (arbutus unedo). Ne furono piantati circa 4.000 esemplari. Oggi ce ne sono circa 100, di cui solo 7-8 risalgono sicuramente alla fondazione del parco







Molte delle specie mediterranee soccombettero. Alcune furono ripiantate, di altre fu abbandonata la coltivazione, come nel caso degli agrumi. Anche dei più di 1.100 arbusti di mirto messi a dimora, non è rimasto nessuno. Altre piante invece si sono adattate e prosperano tuttora, contribuendo a dare quell’aria ‘esoticamente’ mediterranea, come la desiderava un uomo che veniva dal nord.

La seconda parte, che si trova davanti al padiglione del caffè, è il Parterre, un giardino all’italiana, ornato di vasi, colonne e statue classiche, che digrada con scalinate fino al mare. D’estate, quando fioriscono le annuali piantate nelle aiuole disegnate dal bosso, quest’area si trasforma in un arazzo vivacemente colorato.
Alle sue spalle si estende un amplissimo parco ‘all’inglese’, dominato da conifere e alberi ad alto fusto, percorso da sentieri, rigorosamente mai in linea retta e da scalette che permettono di superare i dislivelli, anche notevoli, tra una parte e l’altra. Nei punti culminanti sono collocati gazebo dalla trama delicata, concepiti come punti di sosta per contemplare gli scorci sul mare e la costa.
Nell’intrico della vegetazione si aprono talvolta delle radure dove il punto focale è costituito da suggestivi laghetti
Nelle zone più impervie sono stati create grotte e delle gallerie artificiali, ma dall’apparenza naturale. Qui giocare a nascondino è una vera pacchia per i bimbi!
C’è anche il laghetto dei cigni (quest'inverno eccezionalmente ghiacciato!)
le cui acque formano un ruscello che scorre contornato da vegetazione ‘esotica’ come le palme di S. Pietro, ormai naturalizzate, sequoie, ginko biloba, araucarie.
Tutta questa parte – nella visione di Massimiliano – non rispondeva solo ad uno scopo ricreativo, ma anche ad uno scientifico. Era concepita infatti come stazione in cui sperimentare l’acclimatamento di diverse specie arboree, molte delle quali raccolte da Massimiliano durante i suoi viaggi o fatte inviare da suoi corrispondenti in paesi lontani.
Sono cedri del Libano (cedrus libani), dell’Himalaia (c. deodara), dell’Atlante (c. atlantica), sequoie (sequoia sempervirens e sequoiadendrum giganteum); cipressi del Messico e della California; ginepri; pini.
                     Pinus sabiniana o di Douglas, originario dei monti della California

Si tratta di piante che oggi ci sembrano comuni, perchè si trovano in tanti giardini e in gran parte dei parchi. Ma non era così 150 anni fa e le relazioni stilate dal giardiniere ci fanno capire con quanta apprensione venivano aperte le casse contenenti semi, talee, bulbi sbarcate dalle navi, dopo lunghi viaggi, e quanto poco materiale si potesse utilizzare.
Venne qui sperimentata per la prima volta anche la resistenza di piante meno esotiche - come diverse varietà di pino e di abete - alle dure condizioni ambientali del Carso. All'epoca tutto il retroterra di Trieste era una immensa pietraia, quasi del tutto priva di vegetazione. Nei secoli precedenti gli alberi erano stati abbattuti per utilizzarne il legno e non ne ricrescevano altri a causa del pascolo degli animali e dell'infierire della bora . I forestali austriaci volevano provare le varietà arboricole che si adattavano meglio a sopravvivere in tale situazione limite: praticamente senza terra, con caldo e mancanza d'acqua d'estate, sotto la sferza di un vento potente e gelido d'inverno.
Le varie specie di abete non ressero. Un po'meglio andarono le cose con i pini, in particolare il pino nero d'Austria (pinus austriaca), che si dimostrò "la specie più resistente e frugale e pertanto la più raccomandabile. A Miramar una formazione di dodici anni tollera egregiamente la bora nel suo punto più esposto, dimostrando un rapido sviluppo", scriveva nel 1877 il responsabile del parco. Difatti il pino nero fu scelto quale specie da impiantare nella vastissima opera di rimboschimento del Carso intrapresa negli ultimi decenni dell'Ottocento. E ancora adesso, ormai naturalizzato, continua a svolgere la sua funzione di frangivento e primo colonizzatore delle pietraie.
Immerse nel verde del parco ci sono graziose casette, nate come dimore dei giardinieri e custodi del parco. E vi confesso che uno dei miei sogni, fin da bambina, è stato quello di poter abitare in una di queste casette e potermi godere completamente il parco, soprattutto neglio orari in cui gli ospiti umani se ne vanno e torna ad essere dimora soltanto di animali e piante.

Post più popolari